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Il Cretto di Gibellina: luogo di polvere e memorie

Il Cretto di Gibellina, che originariamente prende il nome di Grande Cretto, è un’opera di land art realizzata da Alberto Burri. Sorge dove un tempo vi era la città di Gibellina Vecchia in Sicilia, tra il 1984 e 1989. È una distesa di 80 mila metri quadri di cemento bianco e detriti per raccontare la storia di una città scomparsa dalle cartine geografiche.

Il centro storico di Gibellina vecchia fu distrutto il 15 gennaio 1968 a causa di un terremoto, che provocò 1150 vittime, 98.000 senzatetto e 6 paesi distrutti nella valle del Belice, in provincia di Trapani. 

Negli anni successivi, la città Nuova fu ricostruita a 20 km dalle macerie del vecchio insediamento. Raccogliendo la chiamata dell’allora sindaco Ludovico Corrao, furono molti gli artisti ed architetti che contribuirono con slancio alle iniziative di ricostruzione. Tra questi anche Alberto Burri. 

La storia di un viaggio

L’artista Burri, racconta la sua prima visita a Gibellina vecchia, accompagnato dall’architetto Zanmatti, che fu incaricato dal sindaco di occuparsi dell’affiancamento degli artisti. Quando si ritrovarono sul posto, il paese nuovo era stato quasi ultimato ed era pieno di opere. Così Alberto non volle offrire la sua arte alla nuova città e proseguirono il viaggio verso i detriti da cui rimase molto colpito

Nel suo racconto emerge la commozione di quell’attimo. Fu in quel preciso momento che gli venne in mente il progetto: visto che le macerie della città erano un problema per tutti, pensò di armarle e con il cemento le trasformarono in un immenso cretto bianco, così da restare perenne il ricordo dell’avvenimento. 

Cosa rappresenta il cretto di Burri

Negli anni Settanta, l’artista aveva realizzato alcune opere utilizzando la tecnica del cretto che ricorda le fessurazioni delle terre argillose. Ad esempio, i Cretti di 15 metri di base e 5 di altezza per i musei di Capodimonte di Los Angeles. Dunque, alla vista delle macerie di Gibellina Vecchia, Burri ebbe l’idea di realizzare uno dei suoi cretti, questa volta su scala ambientale

Nel 1981, Alberto ricoprì le rovine della cittadina siciliana con una sorta di grande sudario in cemento. I vicoli bianchi che oggi si possono percorrere sono simili a delle profonde ferite nel terreno, gli stessi del centro storico del paese prima del terremoto. 

I lavori, avviati nel 1985 e interrotti nel 1989, coprirono circa 60 mila metri quadri a fronte degli 80 mila previsti con 22 blocchi. Trent’anni dopo l’inizio della costruzione, nel maggio del 2015, fu portata a termine l’opera così come voluta da Burri, scomparso nel febbraio del ’95. 

L’intento era quello di costruire un’identità comune, tanto tra i residenti quanto fra gli italiani in generale, attraverso la realizzazione di un monumento di valore culturale e sociale. Un memoriale che racchiudesse e custodisse al proprio interno, in termini fisici e metaforici, la traccia del passato e della vita della comunità

Inoltre, con l’obiettivo di raccontare le origini dell’opera di Burri, la sua progettazione e realizzazione, nel maggio del 2019  fu aperto il Museo del Grande Cretto di Gibellina, voluto dall’Amministrazione comunale guidata da Salvatore Sutera e ideato e curato dall’Assessore alla Cultura Tanino Bonifacio. “Il Cretto deve essere un luogo di narrazione e conoscenza, un luogo dove c’era vita, oggi è presente la conservazione della memoria”, dichiarò Bonifacio per Artribune. Il museo si trova nella vecchia Chiesa di Santa Caterina, a 300 metri di distanza dal Cretto, ed è l’unico edificio superstite del terremoto.

Trascorrere del tempo attraverso i vicoli bianchi dell’opera a cielo aperto e nelle narrazioni del museo è come passeggiare su di un filo sospeso fra presente e passato. Un’esperienza assolutamente da fare.

 

 

Giulia Nari

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