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La cura dei malesseri nella cultura siciliana

Oltre al paesaggio mozzafiato, al mare azzurro e a una varietà culinaria che fa invidia a tutto il mondo, la Sicilia vanta tradizioni antiche davvero interessanti. Un esempio? La cosiddetta medicina popolare. Si tratta di una cultura giunta dal passato, in uno scambio fra generazioni. I famosi rimedi delle nonne, che saranno oggetto di dibattito questo 15 ottobre 2022 nel Convegno di Studi sulla Sicilia Antica.

Focus sul tema del XVIII Convegno di Studi sulla Sicilia Antica

Il tema scelto per questa Giornata di Studi parte dai ritrovamenti archeologici già in tempi molto antichi di testimonianze, letterarie e leggendarie, sulle attività curative, nel Mediterraneo e ancora prima nelle civiltà del Vicino Oriente.

Queste forniscono ai giorni nostri un panorama davvero variegato di luoghi, strumenti e pratiche antiche per esercitare la medicina. 

La lotta per il superamento del dolore fisico è sempre stata una forte componente dell’evoluzione umana e come tale c’è stato un attento studio nelle azioni dell’uomo per far fronte alla società, alla tecnologia, alla religione e addirittura all’architettura che doveva ospitare queste nuove attività. Proprio per questo, l’ambiente templare ebbe in epoca lontana una connessione con l’attività curativa, come per esempio i molti santuari dedicati ad Asclepio disseminati successivamente nell’area del mediterraneo, soprattutto in Sicilia. 

Inizialmente la medicina aveva connotati a metà tra la magia e il mistero. Secondo la leggenda, il dio Apollo ne fu il fondatore, da ciò definito Medico, e tramandò l’arte al figlio Asclepio, per cui sono stati eretti innumerevoli templi e scuole mediche.
Questi sacerdoti curavano i malati usando strumenti rituali come l’incubatorio, oppure droghe vegetali anche al fine di ottenere il perdono o ringraziare la divinità cui si erano rivolti. 

Con il passare del tempo i modi e le credenze si evolverono, pur mantenendo un filo conduttore per la cura del malessere delle persone.

Il medico siciliano e il ruolo nella società

In passato, in Sicilia, le parole giuste, le pietre, le erbe e gli animali erano considerati più efficaci di una vera medicina. Un proverbio siciliano dice C’è tanti erbi all’ortu, ca risurgina l’omu mortu”, ovvero che ci sono così tante piante in natura che non serve un medico per riportare in salute il malato. Inoltre, nelle tradizioni popolari, si era convinti che una persona potente e conosciuta fosse molto più rassicurante rispetto a un medico.

I rimedi delle nonne portavano un sapere innato, che a sentirli oggi lascerebbero un po’ tutti a bocca aperta. All’epoca, quando una medicina veniva considerata “inutile”, ci si rivolgeva a un erbaiolo che potesse procurare un rimedio per il malessere del paziente. Ed ecco che il medico non riscuoteva una grande ammirazione dal popolo, infatti alla guarigione del malato veniva ringraziato il santo che si pensava l’avesse preso in grazia o le cure dell’erbaiolo. E se invece il paziente moriva? Risposta semplice: era una responsabilità del medico! 

Nell’immaginario collettivo del tempo, un vero medico doveva essere vecchio, il farmacista ricco e il barbiere, che alla fine si trasformava in un chirurgo, doveva essere giovane. Il barbiere si occupava della maggior parte degli atti pratici della cura del malato, come ad esempio salassi, fratture, ascessi e malattie veneree. 

Con tutte queste influenze da parte del barbiere, dei farmacisti e di altre figure, alla fine i medici veri e propri in base a dove esercitavano, se nelle grandi o piccole città, avevano un salario più o meno basso. Un medico di paese prendeva guadagnava qualcosa in più per il fatto d’essere retribuito a volte direttamente con cibo o altre materie prime, non solo con denaro.

L’importanza dell’erbaiolo e delle guaritrici

Nell’ambito della medicina popolare siciliana, rientra la figura dell’erbaiolo, già sopra citata, che con la “lattata di mennule” (latte di mandorla), il decotto di malva e orzo, e altre bibite e medicine, rinfrescava e purificava il sangue di moltissime persone.

Attraverso i rimedi dell’erbaiolo, si riusciva a far fronte a molte malattie come la benorragia, curata con la “cannavusata”, o altre irritazioni con vari tipi di decotto. Un elemento curioso è che la maggioranza delle botteghe di erbaioli, in Sicilia erano gestite quasi esclusivamente da donne. Quelle famose donne che venivano definite come le guaritrici del paese, ovvero la signura ri vermi, in grado di aiutare i compaesani.  

Le malattie e il rapporto della comunità con il paziente

Ogni malattia, nella tradizione siciliana, aveva una sua specifica origine. Le guaritrici affermavano che i virmi, con cui anche si descrivevano gli organismi presenti fisiologicamente nell’individuo, fossero spiriti che si scatenavano durante un turbamento familiare. 

I virmi, quieti nella vucca ri l’arma (bocca dell’anima, ovvero dello stomaco), stabilizzano fisiologicamente la salute dell’individuo. Se per una circostanza particolare, come può essere lo stress, o un’emozione incontrollata, si altera il loro equilibrio naturale, agitandosi e muovendosi fino a salire alla gola, provocano malesseri. 

Quando una persona soffriva e all’epoca veniva presa sotto l’ala curante della guaritrice o dell’erbaiolo, questo malessere coinvolgeva tutta la comunità. Dai parenti stretti fino agli amici, ai vicini di casa e via dicendo. Nella magia popolare, u scantu era proprio quello spettro di turno che si aggira irrequieto tra le persone care al malato, mandato per fattura al povero sfortunato.

 

Giulia Nari

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