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Lo stretto di Messina: i miti e la cultura del pesce spada

Lo stretto di Messina: i miti e la cultura del pesce spada

La traversata dello stretto di Messina è sicuramente uno dei momenti più suggestivi ed emozionanti per i turisti in visita sull’isola del sole. Il lento incedere del traghetto dallo Ionio al Tirreno, infatti, sembra quasi voler trasportare i viaggiatori in un mondo magico fatto di racconti e folklore legati alla tradizione orale della Sicilia.

Ma questo canale è anche la culla di una delle usanze marinare più forti della bella Trinacria: la caccia del pesce spada. Devi sapere che l’eterna lotta tra l’uomo e il re del mare è scandita da rituali che di padre in figlio ancora oggi si celebrano e che non vediamo l’ora di raccontarti.

I miti dello stretto di Messina

Da dove hanno origine i miti e le leggende dello stretto di Messina? Consideriamo che alcuni racconti per secoli hanno reso questo passaggio una sfida per eroi mitologici e navigatori esperti. Non tutti sanno che, infatti, la Sicilia è tristemente nota per essere soggetta a terremoti che hanno rovinosamente piegato la città sullo stretto. Così come è frequente il fenomeno della deriva delle imbarcazioni dei pescatori in seguito ai conseguenti maremoti o mareggiate violente. Sebbene i fenomeni naturali abbiano una spiegazione scientifica, la pericolosità del mare dello stretto di Messina ha stimolato la fervida fantasia popolare col desiderio di esorcizzare la paura. 

Un esempio? Il folklore siciliano porta ad attribuire il fenomeno dei terremoti alla leggenda normanna di Colapesce, secondo la quale i sismi sarebbero provocati dallo spostamento da una spalla all’altra di una delle punte della Trinacria sorretta dal noto nuotatore siculo. 

Tracce dei miti e delle leggende dello stretto di Messina sono anche percettibili nell’architettura urbana della città. Uno dei monumenti più apprezzati dai messinesi, infatti, è la famosa fontana di Nettuno. Qui è rappresentato il dio del mare Poseidone nell’atto di placare i due mostri Scilla e Cariddi posti a guardia dello stretto. É proprio da queste figure mitologiche che inizia il nostro fantasioso viaggio alla scoperta dei racconti popolari dello stretto di Messina.

La storia di Cariddi

Lo stretto di Messina deve la sua triste fama di passaggio irto di pericoli da tempi immemorabili. Sicuramente il più famoso contributo alla sua nefasta notorietà è il racconto omerico dell’Odissea. Uno degli episodi più spaventosi che vedono Ulisse e la sua ciurma protagonisti è proprio geograficamente collocata nello stretto, con l’eroe di Omero impegnato a barcamenarsi tra i due guardiani Scilla e Cariddi. Ma chi sono queste due creature mostruose?

Secondo la tradizione, Scilla si trova sulla costa calabrese tra Punto Pizzo e Alta Fiumara, mentre Cariddi è collocata presso la Spiaggia del Faro a Messina. Entrambe sono due ninfe che per destino avverso sono state condannate a terrorizzare i navigatori dello stretto. In particolare, però, la storia di Cariddi, non segue lo schema tradizionale della malcapitata punita dagli dei per un amore non corrisposto, ma tutt’altro.

La leggenda narra che Cariddi fosse figlia di Poseidone e Gea e che fosse famosa per la sua incontenibile ingordigia. Inoltre era anche incline ai furti e fu proprio questa sua caratteristica a causarle la rovina. Infatti, per soddisfare la sua fame, un giorno rubò e divorò un gregge di pecore che Eracle, per la sua decima fatica, aveva rubato a Gerione. Per vendicarsi quindi, il figlio di Zeus invocò il padre che per punire la ninfa, la colpì con un fulmine scagliandola nelle acque dello stretto. Inoltre la trasformò in un gorgo che per tre volte al giorno risucchia l’acqua salata per poi rigettarla, creando vortici e correnti in grado di affondare qualsiasi nave.

Questa vicenda, così come altri racconti della tradizione orale messinese, nasce per spiegare uno dei fenomeni naturali che contraddistingue la lingua di mare tra l’isola e il resto del continente: il fenomeno delle maree. Esse, infatti, sono alla base delle forti correnti che attraversano lo stretto. In particolare, gli studiosi hanno osservato come il dislivello esistente sul fondale provochi in contemporanea l’alta marea su una costa e la bassa marea sull’altra, influenzando notevolmente la navigazione delle imbarcazioni.

Il racconto di Scilla e Glauco 

Il tema della vendetta d’amore è molto ricorrente nella mitologia greca e trova un’ambientazione privilegiata proprio in Sicilia. Tra le leggende legate allo stretto di Messina noto a molti è quella di Scilla, mostro marino a guardia della lingua di mare insieme a Cariddi. Ma la ninfa tramutata in terribile creatura non è stata sempre così.

La causa delle sue sventure è stato l’amore non corrisposto di Glauco, bellissimo pescatore che di ritorno da una battuta nello stretto di Messina, trovò un punto di riposo su un’isola verdeggiante. Qui si rese conto che l’erba aveva proprietà particolari in quanto i pesci intrappolati nelle reti subito avevano preso vita e si erano ributtati in mare. Incuriosito dallo strano fenomeno, assaggiò l’erba e gettandosi in mare si trasformò in un tritone dalla coda di pesce e la barba lunga con riflessi verdi.

Mutato, quindi, in una divinità, un giorno si imbattè nella bellissima ninfa Scilla, di cui si innamorò perdutamente. Non corrisposto a causa del suo aspetto, il tritone chiese aiuto a Circe, chiedendo una pozione magica. La maga, però, innamorata a sua volta di Glauco ma non corrisposta, decise di alterare la pozione da dare a Scilla che si ritrovò quindi trasformata in un mostro marino. La sventurata per il suo brutto aspetto decise di nascondersi in una delle grotte presenti nello stretto e per vendicarsi del torto subito, iniziò a sfogare la sua ira sui malcapitati navigatori.

La leggenda di Fata Morgana

Attraversare il piccolo lembo di mare tra Sicilia e Calabria significa anche rimanere affascinati da uno spettacolo inconsueto durante il quale cielo e mare sembrano fondersi, accorciando le distanze tra le due coste. Tra i miti e leggende dello stretto di Messina più fantasiosi, infatti, famosa è quella della Fata Morgana, sorella del mitico re Artù, che stabilitasi in queste acque si diverte a ingannare i navigatori. 

Ma anche in questo caso il folklore cede il posto alla scienza. Durante le giornate più terse di agosto o settembre, infatti, si verifica un fenomeno atmosferico legato alla variazione di densità dell’atmosfera e alla rifrazione della luce. Variando la temperatura tra l’aria vicina al suolo e quella restante, gli oggetti all’orizzonte sembrano fondersi grazie alla luce che arriva da direzioni diverse. Per i siciliani è quello il momento in cui il personaggio del ciclo arturiano getta il suo incantesimo facendo apparire Sicilia e Calabria talmente vicine da poter essere a un passo l’una dall’altra.

La leggenda della Fata Morgana nasce in epoca normanna e narra come la destinazione finale di Artù ferito in battaglia non fosse stata più la mitica Avalon ma il monte Etna. Qui, infatti, il sovrano aveva deciso anche di far riparare Excalibur, spezzata in battaglia. E proprio nelle profondità del mare vicino a Messina, inoltre, che la fata decise di edificare la sua dimora, conservando sempre il suo spirito ingannevole e ammaliatore. 

Una delle versioni della leggenda, racconta che a rimanere vittima fosse stato un re arabo. Questi, infatti, si dice annegò nelle acque dello stretto dopo essere stato convinto dalla bellissima donna a raggiungere a nuoto la costa della Sicilia, ingannato dall’estrema vicinanza delle coste. Un’altra, invece, narra di re Ruggero il Normanno. Il sovrano, arrivato sulle coste della Calabria, si convinse a voler giungere in Sicilia per conquistare questa la terra e liberarla dagli arabi. La Fata Morgana, allora, fece apparire le due terre vicine, fornendogli anche un’armata e un’imbarcazione. Ma il re fervente cattolico non si fece ingannare, tornando qualche tempo dopo (nel 1061) con un’imponente armata con cui liberò la Sicilia.

Una tradizione antichissima: la caccia del pesce spada

Ma, oltre alle leggende mistiche, fortemente legata allo stretto di Messina è la pratica millenaria della pesca del pesce spada. Di questa tradizione si fa menzione addirittura nell’Odissea è questo fa comprendere come da tempi immemorabili sia radicata in Sicilia.

Fino al XX secolo, si svolgeva da terra o da una nave da rimorchio chiamata feluca su cui erano stanziati gli ntinneri, gli osservatori. Questi, dopo aver avvistato un banco di pesci, con il passaparola, avvisavano i marinai che si muovevano con l’arpione per procedere alla cattura. Oggi si svolge in modalità simili, sebbene l’attrezzatura sia più moderna.

Ciò che rende unica la tradizione del pesce spada in Sicilia è sicuramente la forma di antropomorfizzazione e sacralizzazione del re del mare. I rituali che caratterizzano questa pratica derivano dalla tecnica con cui viene pescato. Una di queste è la cardatura da cruci, che consiste nel segnare il pesce con le unghia di quattro dita a formare un segno di croce multipla. Ancora c’è l’invocazione di “San Marcu è birinittu”, protettore dei fucinatori, la bbotta, che consiste nel tagliare la carne dove è penetrato l’arpione e, infine, la ripartizione del pesce tra i membri dell’equipaggio secondo rituali di santificazione del territorio.

 

di Annapasqua Logrieco

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