South working: lo smart working 2.0
Con l’avvento della pandemia da Covid-19 nel 2020, lo scenario lavorativo di molte aziende è dovuto cambiare: a causa dell’impossibilità di raggiungere fisicamente gli uffici, infatti, abbiamo assistito a un massiccio aumento degli smart workers. Con il passare dei mesi si è poi sviluppata un’altra interessante tendenza, una sorta di “smart working 2.0”: il south working.
Un nuovo modo di vivere il lavoro
Con il termine south working si intende la possibilità per i lavoratori di esercitare la loro professione da una sede diversa rispetto a quella del datore di lavoro o all’azienda, e, in particolare, dalle zone del Sud Italia.
Questo nuovo modo di vivere il lavoro è stato accolto piacevolmente sia dalle aziende che dai dipendenti. In effetti, lo smart working nel suo senso più generico, apporta alle aziende dei grandi vantaggi, tra cui la riduzione dei costi per il mantenimento degli uffici e l’aumento della produttività. Il lavoro agile ha poi altrettanti benefici per i lavoratori, che risparmiano in termini di tempo e denaro per gli spostamenti casa-ufficio e che riescono a gestire meglio la work-life balance.
Non sorprende quindi che la versione 2.0 dello smart working si stia accogliendo con la stessa nota positiva: molte aziende in Italia si stanno mostrando interessate al fenomeno e si stanno rivelando propense ad aprire hub di lavoro dal Meridione.
Il concetto del south working infatti vede un’ulteriore evoluzione rispetto al semplice lavoro da casa: prevede la vera e propria apertura di spazi di co-working o uffici pronti ad ospitare i lavoratori in base alla loro città di provenienza.
Anche in questo caso i benefici sono molteplici, sia dal punto di vista del lavoratore, che può decidere di lavorare dai propri posti del cuore, ma soprattutto dal punto di vista del territorio: il south working restituirebbe, infatti, alle città del sud, tutti quei “cervelli” che si sono visti costretti a spostarsi al centro-Nord per cercare competenze e infrastrutture universitarie per investire sulla propria formazione. Il fenomeno contrasterebbe anche lo spopolamento che le aree del Sud stanno vivendo a causa di flussi migratori interni strettamente legati al lavoro qualificato.
Un progetto made in Sicily
Il tema del south working è particolarmente sentito sulla pelle delle persone che vorrebbero riavvicinarsi al loro territorio di provenienza. Non si può quindi evitare di citare l’Associazione South Working® – Lavorare dal Sud, nata a Palermo nel 2020. L’obiettivo che il progetto porta avanti è quello di “colmare il divario economico, sociale e territoriale tra Nord e Sud, tra aree industrializzate e marginalizzate del Paese, attraverso un processo di riattivazione dei territori tradizionalmente periferici”.
Grazie agli studi condotti in questi anni, l’Associazione ha delineato gli elementi essenziali che renderebbero possibile e smart il lavoro dal Sud: l’infrastruttura digitale, per avere una connessione tale da poter lavorare in modo efficiente; l’infrastruttura di mobilità, per rendere i luoghi raggiungibili in massimo due ore di viaggio; e l’infrastruttura sociale, per non dimenticare l’importanza delle interazioni tra colleghi.
Proprio sulla base di questo, l’organizzazione mira a promuovere, più che il lavoro da casa, la nascita di nuovi spazi per vivere il lavoro e chissà, per attirare talenti provenienti da tutte le parti del mondo, spinti magari dal desiderio di lavorare a due passi dal mare.
La diffusione dello smart working e la nuova tendenza del south working stanno avendo e continueranno ad avere dei benefici dal punto di vista sociale, economico e ambientale: la riduzione dei costi, l’avvicinamento delle persone a zone d’Italia ormai periferiche e la riqualificazione delle stesse rendono questo nuovo modo di vivere il lavoro davvero intelligente, per tutte le parti.
di Beatrice Saura