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Levanzo. Isola più sola ancora

Levanzo è “isola” per definizione. Poche case, vie strette e silenziose, assenza totale di qualsiasi mezzo di locomozione a motore. Per il resto la vita è scandita dal mare e dai capricci del meteo. In questo piccolo angolo di mondo, racchiuso in poco meno di 6 km2, non ci sono alberghi. Qui si arriva e si decide quanto tempo rimanere in questo porto di mare. Che sia per un lasso di tempo limitato. O per sempre. 

In questa lunga ricerca su quella che posso definire “Vita lenta”, mi sono interrogato spesso su cosa spinga ad abbracciare quella che non è solo un trascorrere del tempo, ma una precisa filosofia, frutto di dedizione ed ideali. 

Non sono ancora giunto a una chiara conclusione, ma quello che posso dire è che tutto si riconduce all’essenzialità. A un ritorno ad apprezzare il vero valore di ogni cosa, che sia un semplice modo di vivere o un becero mal d’amore. Perché perdere (e questo rimane un mio personale virtuosismo, che sono sicuro sia condiviso dai più) la via che ci conduce all’essenzialità è una caratteristica dell’uomo moderno, che non riesce mai a scollegarsi completamente da tutto quello che lo circonda; soprattutto constatata la situazione attuale, in un mondo in continua evoluzione e mutamento, in cui tutto è saldamente collegato. 

E invece, esistono quei luoghi, al di fuori del tempo e dello spazio, in cui questo ideale, appare vivido. Abbiamo già imparato a conoscerli durante questo lungo viaggio, che ci porta ancora una volta per mare. 

Levanzo: Isola intima, per inspirare a lungo e diradare i pensieri. Una certezza, accolta da un battito di ciglia e da un sospiro del vento. Questo isolamento la rende selvaggia e romantica. Senz’altro è stata la sua dimensione irrisoria e la sua marginalità ad avermi attratto. Mi chiedevo chi potesse vivere qui e come. Mi chiedevo cosa si provasse a sentirsi in mezzo al mare, d’estate ma soprattutto d’inverno, in questa specie di sassolino gettato nel Mediterraneo.

“Il mare – l’orizzonte di tutti gli isolani […] Tutti protendono lo sguardo, l’immaginazione e la speranza nelle distanze dell’oceano […] Il mare entra nel desiderio e nella nostalgia latente dell’isolano – sia esso di indole meditabonda o di temperamento esuberante. Rappresenta l’infinito”. Maria Lamas

Tutte visioni del mare. E l’isolano fa di ciascuna visione un sogno: il suo sogno. Tra gli isolani e il mare ci sono segrete affinità, come vi sono segreti risentimenti e passioni, che molte volte non passano dal subconscio. Sono questi i sentimenti che originano la psicologia insulare. Parlo in termini generali, con un riferimento particolare al desiderio di evasione che tormenta l’isolano  e al radicato amore che per sempre lo avvince all’isola, ovunque egli si trovi, di qualsiasi estrazione sia, pur sapendo che si sentirebbe nuovamente asfissiare se tornasse qui per restare. 

“Amo appassionatamente la mia isola! A prescindere da questo, qui mi sento tanto malato, nostalgico. Ma non posso vivere per molto tempo lontano da essa” – sfogo di un isolano che comprende lucidamente l’incantesimo e il “mal” dell’isola. 

Un dualismo che diventa una caratteristica intrinseca, esattamente come quel sentimento che non ha definizione una ben precisa e si rifugia in un semplice “mal” per una convenzione linguistica. 

Perché l’isola? Perché è il punto dove io mi isolo, dove sono solo: è un punto separato dal resto del mondo, non perché lo sia in realtà, ma perché nel mio stato d’animo posso separarmene.

Come non ritrovarsi nelle parole di Ungaretti, che riassumono in modo esaustivo questa condizione dell’essere. In cui ognuno di noi è “costretto” dall’isola stessa ad attuare quel processo di introspezione. 

A partire proprio dall’elemento cardine: Il mare. Che riflette, riassume, amplifica, abbraccia, scinde…e lascia libera la capacità di amare.

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© Italysegreta

Giacomo Gandola

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