Favignana: l’isola delle cave di tufo
Come tutte le isole, anche Favignana può contare su diverse fonti di sostentamento. Abbiamo già parlato della mattanza dei tonni, ma non abbiamo ancora citato il principale motivo di ricchezza della grande farfalla del Mediterraneo: la calcarenite e le sue meravigliose cave di tufo.
Una pietra bianca e porosa
La calcarenite, o tufo, è una pietra bianca e porosa, molto utilizzata nel settore edilizio. Non è semplice trovare una data che collochi temporalmente l’inizio di questa attività sull’isola, ma ciò che sappiamo è sicuramente che le prime cave furono scavate in prossimità del mare. In effetti, la vicinanza alla costa permetteva di ridurre la fatica per il trasporto della pietra, che avveniva via mare.
L’estrazione del tufo si concentrava principalmente nella zona orientale di Favignana, in prossimità di Cala del Bue Marino, del Cavallo e di Cala Rossa. Una zona, infatti, particolarmente ricca di questo materiale che, per secoli, ha rappresentato la principale fonte di ricchezza per gli isolani (più ancora del tonno).
L’estrazione avveniva o a cielo aperto, o a ingrottamento, tramite l’apertura di scavi che partivano da una parete naturale, o proprio da una cava a cielo aperto. In questo caso, si lavorava nell’entroterra con l’aiuto di macchinari e candele per illuminare la zona.
I tagliapietra, o pirriaturi, lavoravano spesso in cave acquistate da imprenditori che pagavano per le estrazioni. La giornata lavorativa andava dalle 12 alle 14 ore e il pagamento avveniva a cottimo: in base al numero di cantuna estratti (blocchi di pietra di calcarenite di specifiche dimensioni), il pirriature guadagnava più o meno denaro. Il valore di un cantuna poteva variare: nel dopoguerra, ad esempio, si aggirava intorno alle 23 lire.
Le cave venivano sfruttate fino a quando si poteva scavare, cioè quando la pietra non diventava così dura da non poter essere intagliata, o la cava così piena di conchiglie da non poter lavorare senza rovinare gli strumenti.
Le cave dismesse in passato hanno affrontato un grande problema, quello cioè di essere utilizzate come discariche da parte di cittadini poco civili. Dall’altra parte però, si è stati capaci di coglierne il grande potenziale turistico: tante sono infatti le opere di recupero che hanno le hanno viste trasformarsi in hotel (come Hotel delle Cave, in prossimità della zona Cavallo e Cave Bianche Hotel), parchi (come il Giardino dell’Impossibile o il Parco Cavernicolo Orsa Maggiore), o in luoghi di interesse culturale (un esempio è Cava Sant’Anna, d’estate adibita a cinema all’aperto o come sede di eventi musicali).
Il giardino dell’Impossibile
Una delle più grandi opere di recupero è quella di Maria Gabriella Campo, figlia di un pirriature, che, insieme al marito, ha deciso di bonificare e riqualificare a giardini e frutteti una cava di tufo, ormai utilizzata come discarica.
Il nome del giardino nasce dal fatto che nessuno credeva nella fattibilità di quest’opera: sembrava, infatti, impossibile far crescere alberi e piante in un contesto come quello. Grazie invece a caparbietà e un amore smisurato per Favignana, la coppia è riuscita a dare vita ad un luogo unico e suggestivo, che ospita quasi 500 diverse specie di arbusti ed erbe rampicanti.
Oggi il giardino è visitabile, sia dagli ospiti della struttura alberghiera che è stata costruita proprio all’interno di questo parco botanico, sia da chi vuole immergersi in un contesto quasi surreale. Dal 2003, infatti, per volontà dei proprietari si organizzano visite di 90 minuti il cui costo è di 15€ (biglietti acquistabili qui). L’esperienza è particolarissima: i visitatori sono accompagnati a piccoli gruppi da una guida che farà vivere il giardino a 360°, permettendo di sfregare e annusare piante come il finto pepe rosa, o anche di assaggiare frutti come la carrubba o i fichi direttamente dall’albero.
Le cave di tufo rappresentano un elemento identitario dell’isola di Favignana e mostrano, ancora una volta, l’ingegnosità e la capacità dell’uomo di trovare ricchezza in ciò che offre la natura.
Beatrice Saura